domenica 25 dicembre 2016

***La ruota delle letture*** - Obiettivo 5 - "Oliver Twist" di Charles Dickens

Buongiorno cari lettori e buon Natale!! Approfitto della quiete mattutina dopo i bagordi della notte passata per aggiornarvi sull'ultima lettura, e appena in tempo per la scadenza del primo giro della Challenge . Anche se in realtà il libro lo avevo finito qualche giorno fa, ma il mio buon proposito di postare subito la recensione ha catastroficamente coinciso con il corri-corri della chiusura dei conti in azienda e i preparativi della cena della Vigilia. Tant'è che fino a ieri sera ero divorata dall'angoscia di non fare in tempo!! Ma veniamo al libro in questione. L'obiettivo che mi è stato dato era di leggere un libro nel cui titolo vi fosse un nome di persona e ho scelto Oliver Twist che giaceva nella mia libreria da troppo tempo ed era proprio il caso di dargli la sua chance.


    Trama:
Secondo romanzo dello scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870), viene pubblicato a puntate - come gran parte dei capolavori della narrativa dell’Ottocento - tra il febbraio 1837 e l’aprile 1839. L’opera, che inaugura il filone del “romanzo sociale”  nella letteratura inglese, racconta l’avventurosa storia di un orfanello, Oliver Twist, che, fuggito dall’orfanotrofio, vive per le strade di Londra cavandosela con piccoli furti e ruberie.





Che per l'obiettivo la scelta sia caduta su questo libro non è assolutamente un caso. Da un po' di tempo mi ero ripromessa di rispolverare i classici che ci hanno sempre propinato come libri per ragazzi ma che fondamentalmente contengono dei messaggi e delle lezioni che da giovane non riesci a cogliere pienamente (il prossimo sulla lista, se coincide con un altro obiettivo, è Alice nel paese delle meraviglie). Infatti da Oliver Twist mi aspettavo una lettura leggera, ma ero probabilmente influenzata dalla versione in cartone animato. Sono rimasta invece tanto tanto piacevolmente sorpresa perché anche questa volta ho trovato un romanzo che ha catturato quella parte di me che resta affascinata dalle storie che hanno quel sentore di sordido, di macabro, e che contengono dei riferimenti evidenti al tipo di società in cui sono ambientati.

Oliver si trova a nascere in un'epoca in cui l'amministrazione pubblica e le istituzioni religiose che gestiscono gli orfanotrofi e le cosiddette "workhouse" non hanno nessun riguardo per i poveri, gli emarginati e gli orfani. Nato da una misteriosa donna che muore appena dopo il parto senza lasciare indicazioni precise su chi sia e da dove venga, Oliver nei primi dieci anni di vita passa da un orfanotrofio a un ospizio per poi essere ceduto come apprendista a un impresario di pompe funebri: in questi anni non fa che patire la fame e subire le angherie e i maltrattamenti di chiunque sia investito da un minimo di autorità. Decide così di fuggire e si reca a piedi fino a Londra, dove cade subito vittima del raggiro di un ragazzino, Dodger, che, con la promessa di cibo e soldi garantiti, lo fa entrare in una banda di malviventi gestita dall'ebreo Fagin. L'ingenuo Oliver non si rende conto del disonesto lavoro che svolge la banda finché non vede il primo furto messo in atto da Dodger e compagni. Iniziano qui le vere e proprie avventure di Oliver, che resta, contro ogni previsione, un bambino dal cuore puro, guidato da sentimenti di carità cristiana, e che preferisce la morte alla prospettiva di diventare un ladro.

Oliver, per una fortuita serie di coincidenze, viene salvato dal suo ignobile destino da un gentiluomo che lo accoglie in casa come un figlio. Ma c'è qualcuno che trama nell'ombra per ricondurre il ragazzino nel covo della banda di Fagin. Ed è proprio quello che succede: non appena Oliver mette il naso fuori casa, una prostituta riesce con una sceneggiata molto melodrammatica a riportarlo sulla strada, e il protagonista viene obbligato a collaborare a un furto in una casa di campagna. Anche qui la Provvidenza però ci mette lo zampino e Oliver viene salvato di nuovo da una signora perbene che lo accoglie in casa, ascolta la sua miserabile storia e decide di aiutarlo: non soltanto troveranno la banda  che lo ha costretto contro la sua volontà a rendersi complice di tante nefandezze, ma gli garantiranno anche un futuro prospero tra personaggi di ceto sociale più elevato...
Mi astengo dall'aggiungere altro perché vi rovinerei il colpo di scena finale, ma posso dire che proprio il finale l'ho trovato un po' stucchevole e fuori tono con tutto il resto del libro.



Qualche riflessione... I personaggi sono meravigliosamente descritti. Ad esempio Fagin, con tutte le connotazioni negative che costituiscono l'archetipo dell'ebreo cattivo (vedi avido, sporco, con le lunghe unghie annerite, sdentato, avvolto in un mantellaccio lercio, dai modi bruschi, burbero..) mi ha tanto impressionato che una notte l'ho addirittura sognato! Ogni esponente di ogni ceto sociale ha le sue bizzarre manie, come il custode parrocchiale, arrampicatore sociale, che decide se corteggiare la direttrice dell'ospizio solo dopo aver minuziosamente contato e soppesato, senza farsi vedere, tutti i cucchiaini d'argento che lei possiede.. Non manca il cinismo nelle descrizioni di tutte queste brutte abitudini, come quando l'autore delinea come "due rispettabili signori" i due malviventi della peggior specie, e la critica alla società contemporanea è velata da un genere di umorismo e di sarcasmo che rendono il tutto ancora più accattivante. I vicoli maleodoranti di Londra, le case arroccate sul molo che sembrano sul punto di crollare, i ponti battuti dalle prostitute, le locande di infima categoria in cui si gioca a cabbage e si beve tutta la notte, è tutto narrato e descritto talmente bene che sembra di trovarcisi dentro.

Ma se tutto ciò che è Cattivo nella storia viene anche descritto come Brutto (fatta eccezione se come me avete il gusto dell'orrido particolarmente acuito), tutti i personaggi appartenenti alla categoria dei Buoni hanno le fattezze e gli atteggiamenti Belli come quelli degli angeli. Questa contrapposizione è secondo me il fulcro del libro e rispecchia l'intento dell'autore di denunciare l'evidente enorme divario tra la borghesia e la povertà della Londra del diciannovesimo secolo. Anche se a tratti questa contrapposizione mi ha lasciata un attimo perplessa perché, almeno per me, diventava indigesto tanto buonismo eroico, mentre preferivo recarmi assieme a Nancy e a Sikes su e giù per i sobborghi della depravazione londinese, io trovo che Oliver Twist sia un eccellente capolavoro di satira e ve lo consiglio assolutamente.









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