domenica 19 febbraio 2017

"Segreta Penelope" (e molti interrogativi sociali), di Alicia Gimenez Bartlett

Buonasera lettori, stavolta vi parlo di un libro che mi ha completamente catturata per un'intera settimana. A leggere la quarta di copertina e a contare il numero delle pagine diresti che è bello succoso, sì, come argomento ma che si lascia leggere in breve tempo. E invece devo dirvi che ha stimolato in me così tanti e lunghi ragionamenti su quello che a mano a mano leggevo che adesso non sono più tanto stupita di averci messo tanti giorni a finirlo.

Trama:
Per chiunque abbia fatto parte della generazione che fu giovane negli anni Settanta del Novecento, la generazione dell’autrice, Sara – la Penelope segreta, che s’è rifiutata di aspettare, di questa indagine narrativa su un suicidio – è un essere molto familiare. C’era una Sara, più o meno vicina al modello, quasi in ogni gruppo, nota, conosciuta o mitizzata in ogni compagnia di amici e di colleghi di studio. Magnetica incarnazione dello spirito del tempo; prova apparente che il buon selvaggio non fosse un mito ma il futuro liberato dalla corruzione del potere civile. E l’incarnazione si realizzava nella libertà sessuale: naturale, autentica, mai esibita, antiideologica, Eros trionfante su Thanatos, Dioniso su Apollo, l’innocenza infantile del piacere sulla malizia del vizio. E naturalmente tale identificazione della libertà con la sessualità doveva apparire ancora più naturale ed anticonformista nella Spagna da poco uscita dal bigottismo del Franchismo della Sara di questo libro. Ma nessuno sapeva di cosa ne sarebbe stato di una Sara dopo il tragico inevitabile; dopo il trauma di scoprire che anche quella libertà era solitaria e illusoria, e obbligatorio il ritorno ai ruoli donneschi di madre e di moglie.
Il romanzo di Alicia Giménez-Bartlett invece parte da qui. E mira a ricostruire che cosa successe a Sara nel corso del tempo del dopo. Lo rievocano, i giorni successivi al suicidio di Sara, le amiche che formavano il suo gruppo, il bolso personaggio che ne divenne il marito, la figlia che mai poteva amarla, fino alla scoperta del più intimo ultimo segreto, dell’ultimo inaccettabile amore: pezzi di memoria strappati con dolore dall’amica che narra in prima persona; ricordi nostalgici e pieni di un affetto senza comprensione; oppure le giustificazioni del conformismo alle ferite inferte come in riti sacrificali di espiazione. La rivincita sorda, progressiva e crudele dell’ordine sul caos creativo. E il ritratto della splendida persona sconfitta dalla Penelope segreta appostata in ogni vita di donna, si piega in modo inquietante a una domanda sul tempo: che è troppo e troppo poco.



Sara, appena passati i cinquant'anni, si suicida ingurgitando dei barbiturici. Dopo il suo funerale l'autrice, l'io narrante, amica di gioventù di Sara, resuscita tutti i ricordi, i dialoghi e le loro bravate giovanili, alternandoli col racconto del presente, della sfilata degli amici di sempre che si presentano da lei, affermata scrittrice, per ripulirsi la coscienza riguardo alle circostanze che hanno condotto Sara alla decisione estrema.

Fin dalle prime pagine traspare l'intensa ammirazione che l'autrice nutre per Sara, la musa del sesso, la collezionista di falli, la donna nata per essere libera e selvaggia, per vivere al di sopra delle convenzioni, delle leggi sociali, dei doveri, dei sensi di colpa. Dalle vicende goliardiche degli anni dell'università e della rivoluzione sessuale, la narratrice accompagna per mano il lettore lungo tutte le vicissitudini della vita di Sara.

Dopo l'aborto seguito a una gravidanza indesiderata, le amiche Berta e Ramona si auto conferiscono il ruolo di consigliere sullo stile di vita di Sara, imponendo un ordine dettato dalle convenzioni sociali al caos che regna nella sua vita: un matrimonio con un intellettuale dalla idee parecchio confuse, che riesce a imbrigliare quello spirito libero relegandola al ruolo di moglie, e in seguito a quello di madre. Qui, secondo l'autrice, che resta anonima fino alla fine, inizia il declino di Sara. Il punto di vista è molto soggettivo in tutte le pagine, ma smuove un sacco di interrogativi su ciò che si reputa comunemente giusto e sbagliato. Sara raccattava gatti randagi e frequentava disagiati, li accoglieva indistintamente in casa sua, gioiva della vita, raccoglieva il piacere dovunque lo trovasse, e chi dice che tutto questo sia sbagliato? Il lavoro, il matrimonio, la maternità, sono necessari? Fino a che punto dobbiamo ritenere giusto conformarci alla massa, in base a quale criterio ci reputiamo persone normali? La psicanalisi aiuta davvero le persone oppure uccide la soggettività riducendoci a una mera materia di categorizzazione dei disturbi psichici? Quale potere ha un'amica o uno psicanalista per ergersi a giudice della vita altrui? Può una madre diventare tale controvoglia e per sua stessa natura non riuscire ad amare sua figlia? Perché una figlia deve subire la decisione imposta da qualcun altro di venire al mondo e passare la vita a odiare sua madre perché da quando era in fasce non ha mai avvertito quel legame che diamo per scontato tra madre e figli? Perché sembra più facile cercare di convertire una persona a ciò che si pensa sia bene per lei solo perché "è così che fanno tutti" piuttosto che domandarsi cosa sia veramente bene per quella persona?

Intorno a questi e molti altri interrogativi gira tutto il romanzo, che a tratti sembra un giallo, ma è più che altro una intensa analisi della società, del conformismo viziato dagli stereotipi della cosiddetta ricerca della felicità.

Un libro che vi consiglio assolutamente di leggere, prendendovi del tempo, e a mente serena, perché vi darà molto su cui riflettere.








domenica 12 febbraio 2017

Scaldano l'inverno "Tre tazze di cioccolata", di Care Santos

Come spiegavo nel post precedente, per fortuna è arrivata una lettura piacevole dopo il fiasco del diario di Darcy. Libro, anche questo, scelto come obiettivo di una Challenge, ma vi devo dire che ero un po' scettica, e che l'unica cosa a convincermi a prenderlo in biblioteca era stata l'elogio in quarta di copertina di nientepopodimeno che Ildefonso Falcones.



Trama:
Sara, moglie e madre modello, è proprietaria di un negozio che a Barcellona è sinonimo di cioccolato, ed è fiera di continuare la tradizione di famiglia. Prima ancora di lei Aurora, la cui madre era al servizio di una famiglia borghese del XIX secolo, per la quale la cioccolata è qualcosa di proibito e peccaminoso. E all’inizio di tutto c’era Marianna, moglie del cioccolataio più famoso del XVIII secolo, inventore di una macchina prodigiosa. I destini di queste tre donne sono intrecciati e indissolubilmente legati alla storia di un’antica cioccolatiera di porcellana, che passa di mano in mano trasmettendo l’amore per la cioccolata, la vita e il coraggio di inseguire i propri desideri.






Non è la prima volta che mi capita di leggere un libro che abbraccia diverse generazioni di persone a prima vista slegate tra loro, ma in realtà unite da un particolare oggetto. Mai prima d'ora però l'oggetto in questione era stato qualcosa come una cioccolatiera di porcellana!
Il libro inizia ai giorni nostri e procede a ritroso nel tempo, e già questa per me è una trovata geniale. Procede poi come un'opera lirica, divisa in atti e intervallata da interludi. L'ultimo atto spiega la provenienza di questa cioccolatiera, appartenuta a donne diverse in epoche lontane tra loro, tutte accomunate da un'intensa passione per la dolce e calda bevanda che allieta i nostri inverni.

Attraverso uno spaccato di vita di ognuna di queste donne, l'autrice racconta ogni volta con innegabile maestria un'epoca, un'ambientazione, usi e costumi, sempre con la misteriosa e bellissima città di Barcellona a fare da sfondo.

Nel primo atto c'è Sara, divisa nell'amore tra due uomini, suo marito Max e il migliore amico di suo marito Oriol. Alternando il presente ai ricordi della loro gioventù, viene fuori un inconsueto ménage à trois, in cui tutti sono consapevoli e complici di un precario equilibrio dei sentimenti. Qui la passione per la cioccolata è il pretesto per far conoscere al lettore le radici barcellonesi dei più grandi mastri cioccolatieri, e per raccontare il contrasto tra l'amore per la tradizione e il desiderio di stravolgerla per creare dei gusti completamente nuovi.

Il primo interludio, invece, spiega come Sara era entrata in possesso di quella cioccolatiera, comprandola da un rigattiere che a sua volta l'aveva ottenuta all'asta dopo la morte di Antonia Sampons...

Nel secondo atto la protagonista è Aurora, figlia di una domestica morta di parto. Aurora viene cresciuta in casa dei Turull, e, coetanea della figlia dei padroni di casa, ne diviene la dama da compagnia. Aurora seguirà la giovane civettuola Candida fino al matrimonio con Antoni Sampons, rampollo della famiglia di cioccolatieri più importante di Barcellona; in casa Sampons, Aurora serve la colazione a letto a Candida tutte le mattine: qui ricompare la cioccolatiera di porcellana bianca da tre tazze con l'incisione blu "Je suis à Mme Adelaide". Anche in questo atto, con sempre grande dimostrazione di amore per la città di Barcellona e una vivida passione per l'opera lirica, la cioccolata in tazza viene presentata come uno dei massimi piaceri della vita.

Nel secondo interludio si scopre come questa preziosa cioccolatiera era passata dalle mani della proprietaria di un bordello a quelle della moglie di Gabriel Sampons, madre di Antoni e suocera di Candida...

Nel terzo e ultimo atto, venato di molto umorismo, si scopre l'esatta provenienza della cioccolatiera. Nella fabbrica di porcellana di Sevres, voluta da Mme di Pompadour, rinomata amante del re Luigi XV, viene prodotta una particolare cioccolatiera per Adelaide, figlia del re, che ha una nota passione per la merenda a base di cioccolata calda. Adelaide invia una delegazione francese a Barcellona, dove il cioccolatiere Fernandes ha inventato e costruito un macchinario per triturare e mescolare le fave di cacao, riuscendo a ottenere la cioccolata migliore d'Europa, la stessa cioccolata di cui vanno matti a Versailles e che Adelaide e sua sorella acquistano in grandi quantità.
La delegazione francese ha il compito, oltre a regalare la preziosa cioccolatiera di porcellana al senor Fernandes, di convincere costui ad andare a costruire lo stesso macchinario alla corte di Versailles e dare qualche consiglio ai loro maitres chocolatier. Purtroppo nella Barcellona di fine settecento, tra le manovre politiche tese ad alimentare i sogni di libertà delle colonie americane, e le manovre della corporazione dei cioccolatieri che tentano di impedire alla giovane Marianna di continuare a vendere cioccolata anche senza la protezione di un uomo, il compito della delegazione francese subisce qualche imprevisto ritardo. Ma anche qui, si risolve tutto con una bella tazza di cioccolata.

Lo stile di scrittura di Care Santos è affascinante, nonostante un tema un po' banale come quello della cioccolata. L'autrice è in grado di tenere alta l'attenzione del lettore anche cambiando di volta in volta epoca e circostanze. Il romanzo è pieno di personaggi femminili forti, donne caparbie che si costruiscono il loro destino, realizzano i propri sogni e hanno sempre un occhio di riguardo per i loro compagni di vita di sesso maschile.
Non mi voglio sbilanciare dicendovi che è un capolavoro, ma senz'altro se lo leggerete vi regalerà qualche ora lieta, o almeno vi farà venire voglia di una tazza di cioccolata e scalderà qualche vostra serata invernale.















Totalmente insoddisfatta da "Il diario di Mr Darcy" di Amanda Grange

Buonasera lettori, per fortuna un libro tira l'altro perché dopo una delusione ci vuole immediatamente qualcosa di diverso per risollevarsi. E' per questo che stasera vi parlo con animo un po' meno bellicoso di quanto avrei fatto una settimana fa, appena concluso il libro che avevo scelto per l'obiettivo della Challenge in cui si richiedeva di leggere un derivato da un romanzo di Jane Austen.

Trama:
Fitzwilliam Darcy è l'eroe romantico che da duecento anni a questa parte continua a conquistare il cuore di milioni di lettrici in tutto il mondo. In questa coinvolgente e fedele rivisitazione di "Orgoglio e pregiudizio", finalmente la storia di Darcy ed Elizabeth viene raccontata dal punto di vista di lui. Per la prima volta abbiamo accesso ai suoi pensieri e sentimenti più intimi, riversati nelle pagine del suo diario, e a tutti quei momenti e quelle situazioni a cui nell'originale si fa solo cenno. All'apparenza freddo e distaccato, Darcy in realtà ha un temperamento passionale: possiamo condividere la sua furia e la sua indignazione nello scoprire il proposito della sorella di fuggire con George Wickham, la sua buona fede nell'adoperarsi per separare l'amico Charles Bingley da Jane Bennet e il suo disgusto nel dover di nuovo aver a che fare con Wickham, che ora insidia proprio la famiglia Bennet. Ma, sopra ogni altra cosa, attraverso le parole di Darcy ripercorriamo la sua storia d'amore con Elizabeth in tutte le sue sfumature, dall'iniziale ostilità all'irresistibile attrazione, dal conflitto interiore fino all'indimenticabile lieto fine.


La storia ormai la conosciamo tutti, non starò qui a sprecare parole sulla trama. Quindi vado dritta al punto e vi elenco tutti i difetti, a mio parere, di questo libro.
L'espediente del diario non mi ha entusiasmato per niente, nonostante l'infaticabile lavoro che deve aver fatto l'autrice per incastrare il più fedelmente possibile tutti gli avvenimenti del romanzo originale.
I primi capitoli sono tutto uno scopiazzamento dei dialoghi dell'originale, con la sola variazione della narrazione in prima persona anziché in terza.
Quello che mi hanno trasmesso tutti i personaggi compreso il protagonista è stata un'esaltazione delle loro caratteristiche peggiori: l'ego smisurato di Darcy, l'impertinenza di Elizabeth, l'ingenuità di Bingley, la perfidia di Caroline, la malizia di Lydia, la vacuità di Mrs Bennet, la superbia di Lady Catherine, e via dicendo, al punto che mi sono domandata se non fossi davanti a una specie di macchietta. Insomma, l'arguzia di zia Jane nel cogliere le contraddizioni della società è impareggiabile, e fatevene una ragione.
Il tormento interiore di Darcy, che è ovviamente il fulcro del libro, è stato talmente monotono e ripetitivo che non vedevo l'ora di arrivare alla fine.
Anche tutti quegli avvenimenti taciuti nell'originale e che qui danno un senso e in un certo modo completano la storia, non mi hanno entusiasmato, e avrei preferito non doverli immaginare attraverso la penna della Grange, ma piuttosto lasciarli in un alone di mistero.

Insomma, un fiasco sotto tutti i punti di vista, perfino il finale in cui la Grange si concede la licenza di immaginare un ennesimo amore che sboccia, per me ha snaturato del tutto Orgoglio e Pregiudizio.
Assolutamente non consigliato.







domenica 5 febbraio 2017

Per riflettere sull'amore clandestino, "Terapia di coppia per amanti" di Diego De Silva.

Buonasera lettori, stasera vi parlo dell'emozionante e piacevolissima lettura degli ultimi giorni, di un autore per me finora sconosciuto ma di cui sono impaziente di leggere dell'altro. Giacché non mi capitava da tempo di apprezzare così tanto lo stile di qualcuno, oltretutto originario di una terra che un po' ancora mi appartiene: un flusso continuo di pensieri che richiama alla memoria il Joyce dell'Ulysses, ma dosato così bene che non ti accorgi di aver rincorso quei pensieri sulla carta finché non ti ritrovi col fiatone.

Trama:
Due adulti sposati (non tra loro) si ritrovano uniti da una passione incontrollabile e da un amore coriaceo, particolarmente resistente alle intemperie. Viviana è sexy ed elegante, e ha un notevole talento per i discorsi intorcinati. E combattuta fra restare amante e alleviare cosi le infelicità matrimoniali o sfasciarsi la vita per investire in un'altra. Modesto è meno chic, decisamente più sboccato e sbrigativo nella formulazione dei concetti, ma abilissimo nell'autoassoluzione. Modestamente vigliacco, aspirerebbe alla prosecuzione a tempo indeterminato della doppia vita piuttosto che a un secondo matrimonio, visto che già il suo non è che gli piaccia granché. E nella crucialità del dilemma che Viviana trascina Modesto dall'analista, cercando una possibilità di salvezza per il loro rapporto ormai esasperato da scontri e lacerazioni continue. Il dottore è spiazzato nel trovarsi di fronte una coppia inufficiale, libera da vincoli matrimoniali e familiari, che non ha nulla da perdere al di là del proprio amore. Accetterà l'incarico per questa ragione, trovandosi nel mezzo di un conflitto sentimentale drammatico e ridicolo insieme, rischiando di perdere la lucidità professionale.

Devo dire che l'analisi introspettiva di una coppia di amanti mi turbava perché l'infedeltà in generale, ma quella coniugale soprattutto, è per me una cosa totalmente inconcepibile. E invece l'alternarsi di capitolo in capitolo delle due voci, quella di Viviana e quella di Modesto, rende tutto vivace e scorrevole.

Mode e Vivi sono una coppia, non ufficialmente e non sulla carta, ma pur sempre due persone legate da sentimenti tenaci: arriva il momento per loro in cui, come qualunque altra coppia, si comincia a fare un bilancio di cosa si dà e cosa si riceve. L'ufficiosità del loro amore consumato tra messaggini, telefonate rubate e camere prenotate in un B&B di fiducia, non è più sufficiente, bisogna prendere una decisione definitiva. Inizia così un giro di giostra in cui Viviana trascina la sua migliore amica Nelide in sedute di autoanalisi dei sentimenti, e Modesto si lascia sciorinare lezioni di psicologia spiccia da suo padre il donnaiolo. Dopo oltre metà libro di tira e molla, Viviana convince finalmente Modesto ad iniziare una terapia di coppia. Peccato che anche il loro pluripremiato analista viva una relazione extra coniugale: anche lui si troverà suo malgrado a fare i conti con le proprie emozioni clandestine.

Mi è dispiaciuto un po' intuire dei personaggi marginali che aleggiano sulle coscienze dei protagonisti senza venire mai veramente alla luce, ma credo si possa giustificare questa scelta col fatto che la storia è completamente incentrata sulle sensazioni intime dei due protagonisti, e da come subiscono le situazioni e le decisioni esterne. Viviana, concedetemelo, non mi è per niente simpatica, non sono riuscita a sentire empatia con il suo personaggio, mi è sembrata solo una donna sprecata per la sua intelligenza, che tra l'altro è diventata anche un po' frivola e isterica probabilmente per una sorta di crisi di mezza età.

"Se c'è un difetto che accomuna le donne, è il prendere le polemiche alla lontana.
Ogni volta che nasce un'incomprensione o un motivo di attrito,
bisogna attraversare una lunga fase esegetica prima di essere
finalmente edotti su che cazzo gli è andato storto e su cosa ti rimproverano.
Una donna innamorata inquisisce, e tiene all'oscuro dell'accusa.
La cosa più incredibile è che, il più delle volte, 
noialtri imbecilli ci cadiamo in pieno in questo tranello psicopatico.
Stiamo anche lì  a chiederle se per favore ce lo spiega, cosa abbiamo fatto.
Perché è chiaro che la frustrazione di ritrovarti dalla parte del torto
senza neanche sapere come ci sei finito
non è umanamente sopportabile, 
e questo, lei che ti ci ha messo, lo sa."


Modesto, d'altro canto, mi ha fatto spesso sorridere per il suo essere cinico eppure ingenuo, una creatura semplice come la maggior parte degli uomini, con le migliori intenzioni ma mai che ne azzecchi una.

"Incredibile come siano schematici, gli uomini. Quanto poche, 
e soprattutto semplici, siano le regole in base a cui funzionano.
Il maschio è senza dubbio la creatura più accostabile all'animale che conosca.
Mangiare, bere, accoppiarsi, dormire.
E' in queste quattro funzioni essenziali che si riassume la sua esistenza.
Poi, tra una funzione e l'altra, c'è il mistero più insondabile.
Forse sto con Modesto per scrivere il
manuale di istruzioni per il suo uso."


Tra neologismi e parolacce, con tanto di urgenza di rispolverare il buon caro vecchio vocabolario (questo non mi capitava da mesi), il libro fila che è un piacere. Diego De Silva mostra un talento splendido nell'interpretazione di voci diverse senza perdere mai di vista il fulcro della vicenda, analizzando vizi e virtù delle donne e degli uomini, senza false ipocrisie e dando molto materiale su cui riflettere. Ho trovato molto interessante che abbia lasciato il finale aperto, ma mi ha lasciato un enorme buco nero di curiosità non esaudita riguardo alla situazione sentimentale dello psicanalista, peccato.